Ci sono atrocità che non si possono spiegare a parole. All'inizio quando le ascolti il tuo cervello si rifiuta di elaborarle, ma non è certo possibile ignorarle.
Choeung Ek è uno dei posti a Phnom Penh dove è ancora vivo il ricordo di una ferita ancora aperta per il popolo cambogiano. Questa pagina nera della storia di un paese così lontano da noi è poco conosciuta nel nostro continente, come purtroppo tanti altri genocidi e ingiustizie di cui si parla troppo poco, e vale la pena dedicare un po’ di spazio per raccontare in una sintesi certamente non esaustiva un luogo così doloroso del passato relativamente recente della Cambogia.
Choeung Ek ora è un memoriale, un piccolo stupa circondato da un parco immerso nelle risaie, ma alla fine degli anni ‘70 era un Killing Field, un campo di sterminio, dove circa diecimila cambogiani vennero rinchiusi e uccisi dal regime totalitario dei khmer rossi. La visione del tiranno Pol Pot era quella di trasformare la Cambogia in una repubblica socialista agraria fondata sui principi del maoismo, quindi ritrovare una società pura che tornasse alle sue origini in cui i contadini ne erano la rappresentazione. I motivi per cui si poteva essere rinchiusi a Choeung Ek erano i più svariati, tra cui naturalmente essere considerato un dissidente politico, ma anche: essere un insegnante, avere studiato all’università, conoscere una lingua straniera, portare gli occhiali da vista, vivere in città.
Dato che su Recording Atlas si parla di suoni è importante fare uno sforzo di immaginazione in questo senso: ora ascoltiamo la quiete in cui è immerso questo posto e che noi abbiamo registrato nel nostro viaggio, ma negli anni in cui il killing field era operativo, ogni sera venivano riprodotti in filodiffusione canti di propaganda a volume altissimo per mascherare le urla delle persone che subivano lutti e violenze indicibili.
Avvicinandosi allo stupa centrale, la fine del percorso guidato della visita al memoriale, notiamo che le sue pareti sono in plexiglass e conservano i teschi di oltre 5000 prigionieri, accuratamente suddivisi e studiati. Dall’analisi di questi reperti, molti dei quali vengono rinvenuti periodicamente da fosse comuni non ancora del tutto localizzate, è stato evidenziato che molte persone sono state violentemente percosse o uccise con armi bianche, oppure addirittura con attrezzi agricoli, dato che le armi da fuoco e i proiettili erano molto più costosi, e che le vittime erano anche famiglie intere, incluse donne e bambini molto piccoli o neonati. A questo proposito, uno dei punti più dolorosi della visita è l’albero nell’immagine qui sotto, ora decorato con braccialetti colorati e utilizzato un tempo per uccidere barbaramente bambini.
Il regime di Pol Pot ha sterminato in soli due anni un quarto della popolazione cambogiana, 2 milioni di persone su una popolazione di appena 8 milioni, poco meno di cinquant’anni fa.
In molti lo seguirono e si macchiarono di crimini contro l'umanità in quello che viene definito un orribile autogenocidio.
Laura Pronestì | P.IVA 09745190968